Pubblichiamo il testo del comunicato letto oggi pomeriggio dal consigliere Luigi Contin alla Roma Drone Conference 2019.

In un segmento di mercato fortemente normato, come nel caso del settore degli APR, sia che si tratti di vendite di mezzi che di servizi, le regole e la loro stabilità fanno spesso la differenza.
È questo il motivo per cui oggi intendiamo soffermarci sulle novità regolamentari in fase di introduzione a livello europeo e nazionale, che ci spingono  a fare una serie di considerazioni sui principi che sembrano essere alla base delle scelte di EASA.

La prima impressione è che al fondo di queste scelte ci sia una tendenza alla deregolamentazione, che senz’altro produrrà un incremento delle vendite di mezzi consumer, forse però sottovalutandone le conseguenze sulla  sicurezza del volo, del terzo sorvolato e degli altri utenti dello spazio aereo.
Leggendo tra le righe del futuro regolamento EASA, ad esempio, sembra che la formazione e la cultura della sicurezza del volo, concetti alla base del fattore umano e della “safety”, oltre che della concreta verifica della capacità di pilotaggio, avranno un peso immensamente inferiore rispetto a quanto oggi accade nei paesi europei (tra cui l’Italia) in cui l’utilizzo degli APR è capillarmente diffuso e porteranno alla riduzione o all’eliminazione dei presidi di addestramento e safety che sono stati attivati considerando le specificità di questi paesi, in termini di densità di popolazione, industrializzazione del territorio, estensione degli spazi aerei controllati e molto altro.

Queste novità si presentano in un momento storico in cui stanno emergendo i limiti di questa tecnologia in termini di “safety” e “security”. Tra gli eventi che lo dimostrano, ricordiamo alcuni casi eclatanti, come l'incidente di Madonna di Campiglio o il blocco dell’aeroporto di Gatwick nel Regno Unito (dove un evidente attacco deliberato mediante drone nell’area aeroportuale ha mandato in tilt il traffico aereo con la cancellazione di centinaia di voli). Ricordiamo, inoltre l’evento in piazza Duomo a Milano, dove un drone (operato da un pilota non autorizzato) ha ferito al volto un passante. Menzioniamo infine le decine di segnalazioni di collisioni mancate registrate dall’aviazione tradizionale (cui andrebbero aggiunti tutti gli eventi non segnalati).
Questi accadimenti evidenziano come un uso scorretto e superficiale di droni gestiti da personale privo di formazione adeguata metta a rischio la sicurezza dei singoli e della collettività.

Il regolamento italiano, nella sua seconda edizione, individuava nella formazione pratica uno dei presidi essenziali allo svolgimento in sicurezza di operazioni specializzate, definendo, a parere di chi scrive, un modello virtuoso di riferimento di livello globale per la formazione dei piloti APR. Chiunque si sia concretamente cimentato con la formazione dei piloti sa che anche le ore di volo attualmente previste per l’addestramento dei piloti sono appena sufficienti a fornire l’esperienza e le abilità necessarie a governare un mezzo.

Purtroppo oggi, nonostante i numerosi segnali che suggerirebbero un atteggiamento di prudenza teso alla difesa di quanto sin qui elaborato dallo stesso Ente, ENAC sembra aver accettato senza più alcun tentativo di mediazione i regolamenti EASA ed ha iniziato un percorso di adeguamento preventivo alle norme europee che porterà a varie forme di deregolamentazione del mercato italiano dei droni e ad una sostanziale riduzione ai minimi termini  della formazione obbligatoria dei piloti, la quale diventerà più informazione, che formazione. A questo si aggiungerà un’ulteriore riduzione dei controlli diretti e indiretti, basando quasi ogni forma di autorizzazione su forme di autodichiarazione.

Tutto questo ci trova fortemente scettici, ed il centro del problema è il corretto punto di equilibrio tra le legittime aspirazioni di semplificazione procedurale e di sviluppo del comparto vendite e le altrettanto legittime richieste di sicurezza, sia per chi opera e sia per chi potrebbe essere danneggiato da un uso scorretto degli APR.

Se è vero che oggi questi mezzi, grazie a sofisticate tecnologie, sono estremamente facili da pilotare, è altrettanto vero che la loro affidabilità è ben lungi dall’essere al livello dell’aviazione civile. E in questo caso le prime e più importanti forme di mitigazione del rischio sono due: formazione e controllo, attività che andrebbero ulteriormente sviluppate, invece che ridotte.

Le attuali scelte, se confermate dalle varie sedi preposte alla loro approvazione, produrranno una serie di conseguenze anche sugli operatori economici.
Ogni modifica regolamentare produce conseguenze sulle regole operative e quindi sul mercato. Purtroppo in tutti questi anni  gli operatori del settore che rispettano le leggi operando in regola hanno assistito quasi inascoltati al continuo mutamento dei regolamenti.
Oggi questo modus operandi appare ancora più singolare perché la transizione che l’Ente Nazionale Aviazione Civile ha proposto si ispira ad una normativa (EASA) ancora non pienamente definita (ricordiamo ad esempio che non sono ancora certe le norme per le operazioni specific).

Purtroppo non è la prima volta che si assiste a un fenomeno del genere (ricordiamo il caso dei 250 g, poi trasformati nei famosi trecentini, tanto cari ad alcuni operatori del settore dell’informazione).
Sarebbe quindi auspicabile evitare il ripetersi di eventi analoghi, che non fanno altro che danneggiare seriamente gli operatori del comparto mettendo a rischio numerosi posti di lavoro.

Se dovessimo evidenziare un problema del settore probabilmente non indicheremmo le norme attuali, che possono essere si ammorbidite e indirizzate ad un maggior sviluppo del mercato, ma sempre finalizzate ad una giusta salvaguardia della safety. Il problema maggiore è probabilmente la mancata attivazione dei necessari controlli sulla concreta verifica dell’applicazione delle regole.

Questa lacuna ha creato un mercato distorto, dove poche centinaia di seri professionisti che cercano di svolgere le proprie attività nel rispetto delle regole, si trovano, con le mani legate, a confrontarsi con decine di migliaia persone che lavorano indisturbate, violando ogni regola, anche quelle del buon senso.
Cinque anni di questo “trattamento” hanno portato ad un serio e preoccupante indebolimento del settore professionale italiano il quale, in vista di una futura omogeneizzazione regolamentare, a breve dovrà confrontarsi con una concorrenza europea che, in molti casi, ha avuto ben altre occasioni di crescita sia professionale che economica, grazie alle politiche dei rispettivi stati membri.
Questo è accaduto purtroppo anche per la scelta di non voler coinvolgere gli operatori del mercato Italiano (di cui le associazioni di categoria sono i primi e più degni rappresentanti, raccogliendo al loro interno tutte le professionalità espressione di questo settore) nelle scelte regolamentari nazionali. Ed è francamente triste se non frustrante, per i vertici di queste associazioni essere chiamati solo a fare da cassa di risonanza di decisioni già prese e spesso non condivise.

Con rammarico dobbiamo aggiungere che anche le Associazioni hanno la loro parte di responsabilità: divise in mille rivoli, non hanno avuto la forza di contrastare con efficacia questa situazione.

Il settore dei droni è estremamente dinamico, ha potenzialità di crescita e occupazionali di tutto rispetto e potrebbe attrarre anche investimenti importanti in termini di ricerca e sviluppo.
Ma per operare e investire nel futuro, le aziende che si occupano di droni, esattamente come quelle di qualsiasi altro settore, hanno bisogno di buon senso, regole certe e stabili e di rispetto da parte di tutti, in un regime di libera e corretta concorrenza.